I TRAGICI FATTI DEL 1944-'45 (eccidio di Genola)


Gli ultimi due anni della seconda guerra mondiale furono segnati da numerosi cruenti avvenimenti, che coinvolsero tragicamente il nostro paese. Il 27 giugno 1944 alcuni contadini rinvennero sul ciglio della strada che conduce a Tetti Vigna, in località San Bernardo, i cadaveri dei saviglianesi Pettiti Benvenuto, Torretta Stefano e Novarino Antonio, forse assassinati, si diceva, per un regolamento di conti non si sa in quale ambito. Nel contempo il clima di terrore imposto dai nazifascisti portò all'assassinio, il 29 luglio 1944, dell'avvocato Alfredo Cussino: arrestato per le idee liberali, fu condotto lontano dal centro abitato e ucciso con alcuni colpi di fucile alla schiena, all'altezza del pilone di San Bernardo, sulla strada per Cuneo. Altro grave fatto di sangue accadde alla stazione ferroviaria di Cavallermaggiore quando, il 27 settembre dello stesso 1944, in seguito al bombardamento aereo di un treno diretto a Torino, trovarono la morte i Genolesi Bosio Stefano, Costanzo Antonio, Gosmar Stefano e Petrucci Anna in Bosio. Inoltre alcune persone anziane del luogo ricordano di aver visto, forse nel successivo mese di ottobre, un camion militare svoltare nei prati di via Orianasso da cui i fascisti fecero scendere quattro giovani partigiani che passarono per le armi; a esecuzione avvenuta i corpi furono caricati sull'automezzo e portati non si seppe dove.

Nei primi mesi del 1945 avvennero alcuni scontri armati fra le truppe tedesche in movimento e i partigiani appostati nei boschi delle località Mattione e Garaita, che furono la causa dell'uccisione di alcune persone quali, il 7 febbraio, del milite fascista Petroli Francesco, originario di Bari, lungo la strada per Camburzano e, il 9 marzo, del bracciante agricolo Belmonte Stefano nelle vicinanze della stazione ferroviaria di Santa Maria; di seguito si registrò l'uccisione di due soldati tedeschi appostati di vedetta, l'uno, sulla torre del castello e, l'altro, sulla strada che conduce a Santa Maria. Nell'ultimo caso si evitò la rappresaglia per l'intervento dei giovani curati della parrocchia di Genola, don Giulio Madurini e don Giovanni Battista Genesio, che, agendo con molto tatto e discrezione, riuscirono a scongiurare la rappresaglia disposta dai nazisti nei confronti della popolazione.



Un ulteriore aggravamento della situazione si verificò verso il 20 aprile 1945 allorché i tedeschi allestirono un punto di assistenza per le truppe in ritirata nei locali al pianoterra della casa canonica. Il passaggio si fece particolarmente intenso fra il 25 e il 29 aprile, mentre gli ufficiali erano sempre più esasperati a causa dei continui attacchi dei partigiani. La domenica successiva, il 29, si verificò l'episodio più tragico.



Alle prime luci dell'alba iniziò a transitare, proveniente da Fossano, la trentaquattresima divisione di fanteria Brandemburg, comandata dal generale Liebe, autore di numerosi efferati delitti, tra cui lo sterminio di un'intera famiglia a Vicoforte di Mondovì. Verso le ore nove, un soldato tedesco venne ucciso all'ingresso del paese, davanti alla trattoria Trombetta di Chiappero Biagio; senza accertarne le responsabilità, un ufficiale entrò nel locale pubblico e uccise il proprietario con una raffica di mitra; nel contempo il comandante ordinò la perquisizione delle case vicine e il rastrellamento per le vie del paese di tutti gli uomini al fine di costringere la popolazione a collaborare e a consegnare i partigiani che, a suo dire, avevano sparato. Non prestò attenzione alle argomentazioni dei maggiorenti locali e di don Madurini, garanti dell'innocenza dei loro concittadini; a titolo di maggior convincimento quest'ultimo si offrì come ostaggio. In quei momenti di terrore e di confusione furono uccisi per le vie del paese Barbero Martino, Boglio Giuseppe e Borra Sebastiano; i loro cadaveri si rinvennero la sera in un orto all'inizio di via San Nazario, oggi via Vittorio Veneto. Per alcune ore Genola visse sotto l'incubo di un eccidio di grandi proporzioni, simile a quello di Boves. Anche se gli abitanti tentarono di fuggire nei campi o di nascondersi nei solai e nelle cantine, in breve tempo furono radunate circa duecento persone nella piazzetta dell'ala pubblica; fra queste gli ufficiali scelsero undici uomini, compreso un burattinaio di passaggio, Donà Amedeo residente a Caselle, che rinchiusero nella casa dei coniugi Marengo sulla strada per Fossano, alla quale appiccarono il fuoco con i lanciafiamme. Si trattava di Boglio Lorenzo, Borra Pietro, Capello Defendente, Gassi Giovanni, Mana Sebastiano, Marengo Francesco, Mondino Giacomo, Olivero Giovanni Battista, Picco Marco e Prato Giovanni Battista. Nonostante le approfondite ricerche, tra le macerie non si rinvennero i cadaveri di Picco Marco e di Boglio Lorenzo; di questo fatto non fu possibile dare una spiegazione. Perpetrata la strage, la divisione tedesca partì per Savigliano, ove si limitò a sparare contro le finestre delle case; a Nichelino commise un altro efferato eccidio.



Sui diversi fronti di guerra, dal 1940 al 1945, persero la vita sedici militari di Genola, che sono ricordati nella lapide posta nella piazzetta a lato dell'ingresso laterale della chiesa parrocchiale. Conseguenti a malattie contratte in guerra morirono nelle proprie abitazioni i soldati Cravero Giuseppe (22 novembre 1943) e Marchisio Mauro (20 agosto 1944). A guerra ultimata, il 10 giugno 1945, si registrò il decesso del ragazzino di dieci anni Ruffino Nicola per lo scoppio di un residuato bellico (L.C.).

i funerali delle vittime del 29 aprile
     
Ritratto dei 17 civili trucidati nel 1944-'45.